Guardarsi intorno e ritrovarsi immersi nei colori con lo sguardo attratto da sfumature diverse e tinte accattivanti, ognuna a reclamare attenzione a gran voce. Dev’essere stato così per Hernán Cortés che scrisse al re Carlo V:
“Vi parlerò di alcune delle cose che ho visto, le quali, sebbene descritte male, so benissimo susciteranno una tale meraviglia che difficilmente mi crederete; noi stessi non crediamo ai nostri occhi. Vendono [al mercato di Tenochtitlan, l’attuale Città del Messico N.d.R.] anche matassine di cotone filato di diversi tipi e colori, sembra proprio uno dei mercati della seta di Granada sebbene sia più grande; ci sono anche tanti pigmenti diversi che si possono trovare in Spagna e di tonalità altrettanto eccellenti”.
Il rosso, in particolare, era intenso e vibrante nella sua tonalità carminio.
Di cosa si trattava? Come era preparato il carminio?
Il termine carminio probabilmente deriva dal latino medievale carminium, questo a sua volta dalla parola araba qirmizī “scarlatto” e minium “minio” che indica il colore rosso tradizionalmente usato per i capolettera delle miniature.
Il rosso carminio che ha deliziato la vista di Hernán Cortés e dei conquistadores era quello ricavato dalla cocciniglia, la femmina di un piccolo insetto fitofago, ossia un parassita delle piante, che contiene l’acido carminico come sostanza colorante. Il Dactylopius coccus, questo il suo nome scientifico, è originario del Messico, dell’America Centrale, delle regioni del Sud America; lo ritroviamo sul cactus genere Opuntia, di cui fa parte anche il fico d’India, e sul cactus del genere Nopalea.
In “Elementi di fisica e chimica dietro le più recenti scoperte” del 1817, l’autore Giorgio Adolfo Suckow cita due tipi di cocciniglia che erano usati per la produzione del rosso carminio: la cocciniglia silvestra e la cocciniglia coltivata, detta anche mesteque dal nome di una provincia messicana. A differenza di quest’ultima, la cocciniglia silvestra risulta meno costosa perché contiene meno sostanza colorante ma, come specifica il professor Suckow, “per la preparazione del carminio dee sempre essere impiegata la cocciniglia la più fina (la mesteque)”.
Una delle ricette del rosso carminio
Nel testo del 1817 appena citato è indicata anche la ricetta del carminio usato in pittura.
Si faccia bollire in una caldaia di stagno un’oncia di cocciniglia polverizzata con una misura e mezza di acqua pura e vi sieno in seguito aggiunti due denari di allume non contenente ferro. Il fluido separato dal residuo depone quindi il carminio come una polvere fina. Tostocché termina questa volontaria deposizione, si può ancora ottenere un precipitato ulteriore colla soluzione di stagno.
Il colore ottenuto, è riportato in “A Dictionary of Arts, Manufactures, and Mines” del 1853, “è di un rosso porpora molto brillante e aderisce fortemente ai lati dei vasi”.
Nel XVIII secolo, i panorami messicani dove era allevata la cocciniglia apparivano come nell’incisione di Michael van der Gucht che abbiamo usato in apertura: distese di cactus con i contadini intenti a prendersi cura e a raccogliere i preziosi insetti.
Il tempo della cocciniglia
Ancor prima dell’arrivo di Hernán Cortés e dei conquistadores, probabilmente già nel 2000 a.C., la cocciniglia era usata dalle popolazioni del Messico meridionale come pigmento, per tingere le stoffe e anche come medicinale, secondo l’esperta tessile messicana Quetzalina Sanchez.
Altre testimonianze del suo utilizzo nel corso del tempo provengono dagli Inca e dalle loro tradizioni. Il colore rosso aveva un ruolo di rilievo durante i rituali religiosi, infatti le lunghe vesti rosse indossate dai signori indigeni simboleggiavano il loro potere e la loro autorità, un collegamento con la storia dei loro antenati e con il processo della creazione.
Anche gli Aztechi usavano la cocciniglia, chiamandola nochezli, soprattutto per tingere i tessuti: da qui deriva il nome della città di Nochisttan “il luogo dove c’è molta cocciniglia”.
L’arrivo in Europa della cocciniglia
Il rosso ricavato dalla cocciniglia raggiunse l’Europa nella prima metà del 1500 e subito vennero messi a punto nuovi metodi per ottimizzarne la produzione: nel XVI secolo, era usato dalla maggior parte dei pittori come Rubens, Caravaggio, Gauguin, Renoir e van Gogh. Qualche anno fa è stato confermato l’uso del carminio da cocciniglia anche nel dipinto “La camera di Vincent ad Arles” che van Gogh realizzò in tre versioni fra il 1888 e il 1889. Oggi, osservando l’opera, vediamo le pareti della stanza di colore blu ma, grazie alle analisi effettuate da un gruppo di scienziati dell’Art Institute of Chicago, possiamo ipotizzare fossero di colore viola ottenuto mescolando il blu cobalto al rosso carminio.
La cocciniglia non smette mai di sorprendere, un pigmento intenso e vibrante, con un passato ricco di tradizione, di storia. In Europa ha rivoluzionato il concetto di “rosso” nella storia dell’arte e in Messico, come ci ricorda l’esperta tessile messicana Quetzalina Sanchez, “continua a essere associato alla magia ancestrale e protegge coloro che indossano abiti tinti di cocciniglia”.
Concetta Lapomarda